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Wimbledon: 10 match memorabili – Parte I

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Da sempre il torneo più importante e prestigioso della stagione, il Torneo di Wimbledon, chiamato con una certa arroganza The Championships, ossia IL torneo per eccellenza, ha riservato grandissime emozioni e partite memorabili forse in numero maggiore rispetto a tutti gli altri tornei, che pur essendo sullo stesso livello dal punto di vista della difficoltà di vincerlo o punti assegnati dal ranking non possono avere quella aura magica che circonda Wimbledon, unico e solo tempio del tennis mondiale. Così come per gli altri Slam abbiamo scelto 10 partite che hanno segnato la storia del torneo londinese che hanno inciso sia sulla storia dell’evento sia su quella del tennis in generale. Questa non vuole essere una classifica ma solo una selezione.

L’infinito sai cos’è?

10) 1969. Primo turno. Gonzales b. Pasarell 22-24, 1-6, 16-14, 6-3, 11-9

Chiunque abbia mai avuto a che fare con la storia del tennis deve assolutamente ricordare il match tra Pancho Gonzales e Charlie Pasarell a Wimbledon nel 1969 in maniera tassativa. E’ un match memorabile che più di ogni altro ha influenzato la storia del tennis, sia per la partita in sé che presenta delle anomalie uniche nel suo genere, sia per quello che ha lasciato come eredità, una cosa tra tutte l’introduzione del tiebreak. Il tennis è uno dei pochissimi sport a livello mondiale che ha cambiato poco se non per nulla le sue regole originali, già nel 1877 a Wimbledon si giocava come si gioca oggi se non fosse per la rete un po’ più alta e il campo a forma di clessidra, ma una regola essenziale nel corso degli anni è stata messa in discussione perché prolungava a dismisura le partite, ossia: per vincere un set bisogna ottenere almeno 2 game in più dell’avversario. Fintanto che il set si chiude 6-4, 7-5 tutto va bene, ma la battaglia può, in teoria, continuare all’infinito. Tutto è andato bene per decenni ma dopo la sfida tra Pancho e Pasarell si decise di cambiare ed introdurre il tiebreak teorizzato da Van Allen e applicato per la prima volta in uno Slam agli US Open del 1970.

Il 25 giugno 1969 sul Centre Court si sono un vecchio, canuto con la faccia tipica di un protagonista di un western di Sergio Leone di anni 41 che tutti conoscono e hanno avuto modo di apprezzare nel corso degli anni come uno dei più grandi e molto spesso bistrattato per essere stato professionistica praticamente per tutta la carriera. Dall’altra parte Charlie Pasarell, tennista portoricano poi naturalizzato statunitense, di 16 anni più giovane. La logica vorrebbe che sia il più giovane ad avere la meglio sulla lunga distanza perché il fisico di un 41enne non è minimamente paragonabile ad uno di 25, ma la storia ci insegna che non c’è nulla di scontato.

La partita inizia nel pomeriggio inoltrato e tutti sanno che se andrà per le lunghe si dovrà sospendere per oscurità e puntualmente arriva il set infinito: il primo si chiude con il punteggio di 24-22 a favore di Charlie. Pancho è nervoso, vuole la sospensione, ma tutti gli vanno contro a partire dall’umpire per arrivare al pubblico che lo fischia, tutto questo gli fa perdere la calma e regala il secondo set, perso per 6 giochi a 1. Dopo 2 ore e 20 minuti il match viene sospeso per la gioia di Gonzales che però si trova 2 set sotto e va a dormire con questo fardello sulle spalle.

Alla ripresa la partita sembra che possa finire da un momento all’altro con Pancho che non è incisivo con il suo mitologico servizio e con Pasarell particolarmente efficace in risposta. Chiarlie potrebbe già breakkare sull’8 pari o sul 10 pari, e rimanda tutto anche sul 13 pari. Ad ottenere il break per primo è Pancho che si issa sul 15-14, l’avversario non ci sta a perdere e mette in fila 3 ace consecutivi che lo salvano, ma solo momentaneamente, perché i 2 doppi falli successivi consegnano il set all’americano. 2-1.

Pasarell accusa visibilmente il colpo e, come se non bastasse, il pubblico si schiera dalla parte del vecchietto. Il quarto set è senza storia e si chiude subito con il punteggio di 6-3. Si va al quinto. A questo punto della tenzone entrambi i giocatori sono stremati e si affidano all’unico colpo che non risente in maniera determinante della stanchezza, il servizio. In una partita dove a farla da padrone sono i crampi il primo ad emergere è Charlie che si porta avanti 4-5 e 40-0 e ha così la possibilità di chiudere sul servizio Pancho. Ma non è ancora finita. Gonzales butta il cuore oltre l’ostacolo e annulla di mestiere i primi 2 match point e il terzo lo fa con un ace. Pasarell mantiene agevole il suo servizio e Pancho è ancora nel baratro sotto 5-6 0-40. Ancora panico e ancora emozioni: i 3 match point vengono annullati con uno smash, una volèe angolata e un ace sporco. Charlie ha ancora la possibilità di portarsi a casa il match sull’8-7 ma è l’ultimo treno. Finita. Gonzales mette a segno 11 punti consecutivi e chiude per 22-24, 1-6, 16-14, 6-3, 11-9. Il tabellino recita 5 ore e 12 minuti di gioco e per tanti anni questa sarà la partita più lunga della storia fino all’irreale Isner-Mahut del 2010.

Black Sabbath

9) 1975. Finale. Ashe b. Connors 6-1, 6-1, 5-7, 6-4

Il tennis, come tutti gli sport, regala delle favole in cui a vincere non è sempre e solo il più forte. E’ il caso della finale del 1975 che vede contrapposti Jimmy Connors e Arthur Ashe. Ancora le TV non hanno preso il sopravvento sui palinsesti e si gioca rigorosamente di sabato, perché la domenica è il giorno di riposo (tradizione che sussiste ancora oggi per quanto riguarda la prima domenica del torneo). Il divario tra i 2 è lampante ed è certificato sia dai titoli vinti sia dal ranking che pone Jimbo in cima e Arthur relegato alla settima posizione. Connors è il campione uscente e viene da un 1974 fantastico. I precedenti tra i 2 non sembrano dare chance all’afro-americano che ha dovuto sempre subire dal suo connazionale e ha un passivo di 3 sconfitte contro 0 vittorie a suo favore. Tra i 2 contendenti al titolo non corre buon sangue, anzi, a causa dell’esclusione dal Roland Garros dell’anno prima Jimbo aveva fatto causa all’ATP il cui presidente era proprio Ashe, quindi in campo non c’era sicuramente un clima di cordialità, per usare un eufemismo. I bookmaker danno a 7 l’upset di Ashe e nessuno crede che possa in qualche mondo fare partita pari contro Jimbo. Ma così come in altre occasioni della storia in cui il più debole deve escogitare un piano per ribaltare la netta inferiorità come accaduto a Maratona per i Greci contro i Persiani, a Troia per gli Achei contro i Troiani, Ashe decide che non è opportuno buttarla sulla lotta in cui è deficitario, ma decide di adottare lo scambio prolungato in attesa dell’errore dell’avversario.

La strategia è talmente efficace che addirittura si dimostra devastante: Jimbo si ritrova sotto 6-1 6-1 e non sa nemmeno lui come è potuta accadere una disfatta simile. Lo stratega Ashe è inamovibile e come un Napoleone del XX secolo controlla la tattica da applicare in battaglia ad ogni cambio campo su un foglietto. Jimbo non ci sta a subire passivamente il gioco avvelenato di Ashe e sotto 2-0 decide di passare al contrattacco e si aggiudica il 4° set per 7 giochi a 5. La partita sembra girata e il fulmineo 3-0 iniziale del quarto set certificano il tutto. Ashe entra nel panico e in cuor suo capisce che forse la tattica iniziale non è quella giusta per vincere l’incontro, decide di attaccare ma torna subito sui suoi passi. Ashe vince 6 degli ultimi 7 giochi e porta a casa il match e la coppa con l’ananas. E’ l’ultimo Slam della carriera di Arthur, il più importante e significativo.

A Star Is Born

8) 2001. Ottavi di finale. Federer b. Sampras 7-6(7), 5-7, 6-4, 6-7(2), 7-5

Dove nasce una stella? E’ la domanda che si sono posti in tanti per i grandi campioni della storia del tennis, la risposta è più o meno complicata per tutti ma non per Roger Federer. Possiamo dire con certezza che la sua leggenda è nata a Wimbledon 2001 nella famigerata partita contro Sampras. Lo spavaldo e irrascibile bad boy svizzero (oggi non si direbbe) detronizzare il re dei prati inglesi che lascia mestamente il campo con il borsone riempito con tutte le sue racchette. I suoi record parlano al suo posto: 31 vittorie consecutive, 56 partite delle ultime 57 ai Championships con la sola sconfitta nel 1996 contro Krajjcek. Nessuno conosce ancora Roger anche se aveva vinto il titolo nella categoria juniores. A fine partita Sampras dirà:”Era il suo momento, è il tennis da erba: un minuto ti senti con la vittoria in mano e quello dopo devi lasciare il campo“. Pete non cavalca un buon momento e non vince un torneo dall’edizione precedente di Wimbledon e si presenta quindi non al 100%, ma nessuno avrebbe mai potuto pronosticare una sua sconfitta agli ottavi di finale. L’americano ha avuto la possibilità di chiudere il primo set ma si è visto chiudere la porta in faccia da un servizio vincente di Roger perdendo poi il tiebreak con uno sciagurato parziale di 4 punti subiti consecutivamente con l’ultimo gettato con un rovescio in rete. Federer è un giovane atipico perché non è il solito giocatore da fondocampo, ma si avvicina spesso a rete per chiudere il punto, qualcosa di ormai desueto tra i suoi coetanei. Roger dimostra anche di avere un ottimo servizio e lo usa per chiudere il terzo set con 3 servizi vincenti e un ace che non lasciano scampo. Ma il vecchio leone non ci sta a perdere e ritorna di prepotenza nel quarto set mettendo a referto servizi fino a 136 mph e un gioco a rete che solo lui sa praticare. A fine partita Pete dirà:“Ho vinto tanti match che sembravano chiusi e in questa occasione mi sentivo di poterla vincere“. Sul 4-4 del quinto l’americano ha 2 break point ma Federer annulla con una volèe e un diritto. Pete si trova a servire per rimanere nel match, ma gli trema la mano si trova subito sotto 15-40 e Federer chiude con una risposta vincente. Pete è sconfitto, Federer cade a terra in ginocchio come se avesse vinto il torneo e dopo 3 ore e mezza di gioco si lascia andare in lacrime. Si potrebbe chiudere qua la carriera dello svizzero, ma è solo l’inizio di una splendida favola che lo porterà ad essere considerato uno dei migliori di tutti i tempi.

O’er the land of the free and the home of the brave!

7) 1982. Finale. Connors b. McEnroe 3-6, 6-3, 6-7, 7-6, 6-4

Aveva vinto nel 1974 quando ancora era un ragazzino sconfiggendo la leggenda ormai invecchiata Ken Rosewall, aveva dovuto subire una pesante sconfitta in finale da Arthur Ashe nel 1975 e per anni ai Championships aveva vissuto all’ombra di Borg, troppo forte e troppo figo rispetto a lui, ma il vecchio leone Jimbo aveva in serbo l’ultima perla da incastonare in una carriera senza precedenti. Il bel svedese non c’era più e l’unico suo rivale per la conquista del titolo era rimasto il vincitore del 1981 McEnroe, ragazzino vivace che aveva di fatto posto fine alla carriera di Borg. Tutti ormai lo danno come sicuro vincitore e il quasi 30enne Connors non ha certo i favori dei pronostici. E’ un’edizione maledetta quella del 1982 con la pioggia che la fa da padrone e che ha interrotto e rinviato tantissime partite fino addirittura a modificare la finale del doppio maschile dal 3 su 5 al 2 su 3. Sacrilegio. Mac si presenta in finale avendo perso un solo set e non aveva mancato di farsi multare per i suoi soliti sproloqui. Come se non bastasse l’All England Club gli aveva tolto la tessera onoraria che spetta a tutti i vincitori del torneo londinese. Un vero bad boy. Il pubblico si schiera dalla parte di Connors, pubblico meno caloroso del solito e in diminuzione rispetto al 1981 causa maltempo. In 4 ore e 15 minuti si vede di tutto in campo e il futuro vincitore si trova in svantaggio di 2 set a 1 quando riesce a issarsi fino al tiebreak del quarto per vincerlo e continuare la tenzone al quinto e deciso set. Ma torniamo indietro. La partita è particolarmente significativa perché si gioca il 4 luglio, giorno di festa nazionale negli USA. Il primo break della partita arriva nel 3° gioco ed è Connors ad ottenerlo. Lo conserva per tutto il set e porta a casa il parziale. Nel secondo Mac approfitta dei tanti errori dell’avversario e vince con il medesimo punteggio del primo. Nel terzo set la tensione sale. Il break ottenuto in apertura spinge Connors fino al 5-4 e servizio, ma sul 30-30 non è cinico, commette doppio fallo e riapre il parziale che arriva al tiebreak che vince Mac chiudendo con un servizio vincente. Nel quarto set il Centre Court ribolle e l’umpire Bob Jenkins è costretto a richiamare il pubblico per costringerlo al silenzio. “Le nostre sfide sono sempre per la vita o la morte” dirà più avanti Connors e questa non fa eccezione. Come detto il quarto set si decide al tiebreak e nell’ultimo è la risposta a fare la differenza, ai 19 ace di Mac Connors risponde con 0 ace ma è efficace quando serve alla risposta così si issa fino al 6-4 finale che gli consegna il suo secondo e ultimo titolo ai Championships.

Il pallettaro contro il bombardiere

6) 1992. Finale. Agassi b. Ivanisevic 6-7(8), 6-4, 6-4, 1-6, 6-4

Nessuno dei 2 avrebbe mai pensato di vincere uno Slam, e uno dei 2 aveva detto che sarebbe stato impossibile vincere a Wimbledon giocando da fondocampo. Si sbagliavano tutti. Andre Agassi diventa il primo baseliner a vincere i Championships dai tempi di Borg (anche se lo svedese scendeva spesso a rete) dopo una lunghissima parentesi di volleatori più o meno bravi. Agassi è riuscito a dimostrare che palleggiare da fondo campo dà i suoi frutti come se non di più di un buon serve&volley. Ai tempi dei successi di Becker ed Edberg Andre aveva preferito rimanere a Las Vegas snobbando il tanto tradizionalista Slam londinese che imponeva e impone tutt’oggi il vestito bianco. La partita tra l’americano e il croato è la classica contrapposizione di stili che più diversi non si può: bombandiere contro pallettaro. Goran metterà a referto 37 ace, record per una finale a Wimbledon, ma Andre è stato bravo a brekkarlo 3 volte contro i soli 2 break subiti. Ivanisevic è andato a rete 91 volte ma è stato passato ben 26 volte. Goran è stato anche sul punto di vincerla la partita ma si è complicato la partita con i doppi falli con una seconda che per lui era come un’altra prima. Dopo l’ultima volèe spedita in rete Agassi si accascia a terra e si mette le mani nel cappellino incredulo. L’allievo incompiuto di Bollettieri vince il suo primo grande titolo della carriera e dimostra di non essere un’eterna promessa e da lì in avanti sarà lui il delfino di Nick preferito a Jim Courier che dopo quell’anno si sarebbe perso a differenza di Andre che avrà una carriera molto luminosa che lo porterà a vincere il suo ultimo Slam all’età di 32 anni.