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Need for speed: superfici più veloci o attrezzi più potenti?

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In quasi tutti gli sport, se non tutti, si gioca sempre sulla stessa superficie, una superficie che è così standard, così omologata, che nessuno fa caso a come sia costruita o a quello che può dare in termini di performance. Nel calcio, sport planetario per eccellenza, si gioca su un manto erboso che ricopre tutto il campo con un’altezza che varia dai 25 ai 30 mm. Nessuno mai dei non addetti ai lavori, o commentatori occasionali, si è permesso di fare illazioni circa la superficie di un campo di calcio. In sintesi: quella che c’è è buona e non saranno certamente i millimetri dell’erba o l’innaffiatura pre-partita a spostare gli equilibri di forza delle 2 squadre che devono scendere in campo.

Nel tennis si ha il problema opposto. Nato sull’erba, come tanti sport moderni inventati dagli inglesi nella seconda metà dell’800, ben presto il tennis si ritrovò a fare i conti con i problemi di superfici. Di chi è la colpa? Dei fratelli Renshaw. I primi veri campioni del nostro sport, che erano britannici, ma che era solito passare le vacanze nella Costa Azzurra e non volevano abbandonare questo sport, forse più un hobby, allora decisero di installare lo stesso manto erboso, così diffuso e rigoglioso nella madrepatria, ma altrettanto inadatto e fuori dal suo habitat nella Francia meridionale. L’erba di casa mia non era adatta al clima mediterraneo, ma la passione del tennis rimaneva, cosa fare allora? Idea: togliamo l’erba e lasciamo la terra, ok, ma che terra deve essere? Non è pericoloso giocare su un campo pieno di zolle irregolari? Non ci sono problemi, trituriamo dei vasi di terracotta e spargiamo la polvere in tutto il campo così ci sarà una superficie uniforme su cui sarà più semplice giocare. Detto fatto. Nessuno si aspettava ai tempi che questo semplice espediente avrebbe causato tantissimi problemi al mondo del tennis rendendolo allo stesso tempo affascinante. Erba e terra battuta erano le 2 superfici di riferimento, e, come è facile immaginare giocare sull’una o sull’altra fa tutta la differenza del mondo, ma i tennisti erano sempre gli stessi per cui si crearono fin da subito gli specialisti: erbivoro da un lato e terraioli dall’altro.

Ad aggiungere pepe alla già complicata questioni superfici fu l’inverno, il maledetto inverno. Quando le temperature scendevano sotto una certa soglia era impossibile giocare all’aperto, oggi diremmo outdoor, per cui si decise di usare i palazzetti dove costruire dei campi ad hoc per praticare questo hobby anche durante l’inverno. Ma, l’erba non cresce al chiuso, ha bisogno del sole, la terra battuta non era adatta, allora meglio usare il parquet: il legno dei pavimenti che tanto era in voga nelle case dei ricchi inglesi dell’era Vittoriana, così da 2 le superfici diventavano 3 complicando ancora di più l’adattamento dei tennisti nel giocare in campi che erano completamente diversi tra di loro.

Perché fare questa premessa che tutti conosciamo? Perché è essenziale capire da dove nasce il problema per cercare non dico di risolverlo, ma quantomeno di inquadrarlo. Inutile fare un ulteriore excursus, dobbiamo andare diritto al sodo. Vero è che nei primi anni della storia del tennis c’erano erba, terra battuta e parquet, ma tutte le erbe del mondo erano uguali? La risposta è semplicemente no. L’erba inglese era molto differente da quella australiana o americana, per diversi motivi, uno tra tutti il clima differente tra le varie regioni. Questa differenza non così netta, ma comunque esistente ha acceso il dibattito per capire quale fosse la più veloce, la più lenta, quella con i rimbalzi più regolari o meno.

Si è sempre detto che l’erba australiana fosse più secca di quella inglese per via del clima australiano rendendola più simile alla terra battuta di quanto non fosse quella di Wimbledon. Non a caso questa differenza ha prodotto un Mats Wilander, grande terraiolo, vincitore a Melbourne e non ai Championships. Anche a New York fino al 1974 c’era l’erba, ma quello che sappiamo è che quella erba non era proprio il massimo. A Forest Hills mancavano i soldi per la manutenzione per cui il manto erboso è stato trascurato per anni, non a caso si decise di passare nel 1975 alla terra verde, e dal 1978 al più economico e “democratico” cemento.

Purtroppo dei tornei degli anni ’70-’80 ci arrivano solo informazioni frammentarie, corroborate dal parere degli esperti che non fa mai male, ma non avendo dei dati empirici è difficile verificare e soprattutto essere unanimamente d’accordo su alcuni temi. Il discordo cambia con gli anni ’90. Grazie alla registrazione delle statistiche che non riguardassero solo il punteggio finale, ma prime di servizio, palle break e punti totali, oggi è possibile compilare delle tabelle che ci permettono di avere un’idea di come si sia evoluto il gioco potendo contare su dati incontestabili. Ed è su questo punto che si concentra la nostra indagine.

Chi ha seguito il tennis dai tempi di Borg, Connors e Mac è stato sempre imbevuto dalla storiella che una volta il tennis era migliore e oggi non ci sono i campioni di una volta. E questa la collochiamo subito nel dimenticatoio. Ma oltre a questa boutade c’è stato sempre un dibattito acceso sulla velocità delle superfici. La realtà è che non è facile avere dei dati precisi, ma si può fare una stima a posteriori che ricalca quasi alla perfezione quello che è successo dagli anni ’90 in poi. Più che sulle superfici però, prima bisogna soffermarsi sui materiali. Gli attrezzi a disposizione dei tennisti a partire dalla celeberrima T-2000 di Connors sono diventati man mano sempre più leggeri e allo stesso tempo performanti, ossia con lo stesso sforzo di prima si poteva colpire la palla più velocemente e con meno probabilità di steccare dato il grande piattocorde che con le racchette di legno era impossibile da avere perché l’eccessiva tensione delle corde avrebbe spaccato il telaio. Grazie a queste innovazioni nascono i primi veri bombardieri, ossia quei tennisti che potevano contare sul servizio in maniera preponderante, che sappiamo determinare la metà dei punti, o meglio game, del gioco. E’ da qui che escono fuori i vari Sampras, Ivanisevic e compagnia bella.

Si è sempre detto che la superficie di Wimbledon degli anni ’90 fosse più veloce di quella attuale. Questa affermazione sembra essere vera e confermata dagli addetti ai lavori, tra tutti il più autorevole è Eddie Seaward, l’uomo dell’erba di Wimbledon, il giardiniere più famoso della storia che per 21 anni ha curato i campi del torneo più importante del mondo. E’ lui stesso a dire che dal 2001 in poi è stata cambiata la composizione dell’erba dei campi di Church Road. Da un mix al 70% di Lorrina Perennial Ryegrass (il loietto perenne) e al 30% di Barcrown Creeping Red Fescue (la festuca perenne) si è passato al Perennial Ryegrass, il loietto inglese, che ha reso, a detta degli esperti, il rimbalzo più regolare perché il loietto cresce in maniera verticale, questo rende la superficie su cui rimbalza la palla sia omogenea, più simile al cemento, e non permette alla palla stessa di sprofondare anche se ci poco e di non avere dei rimbalzi bassi dati dallo scarico dell’energia cinetica a terra ammortizzata dall’afflosciarsi della vecchia erba.

Questa storia più o meno la conosco tutti, ma la velocità del gioco con questo cambio di superficie è diminuito oppure no? Sembra strano ma i dati sono chiari, dal 1991 a oggi la velocità del gioco è aumentata. I grafici non lasciano dubbi: dal 1991 a oggi si fanno molti più ace e ci sono molti meno break. Una tendenza che non ci aspettavamo di trovare dopo che per anni ce l’hanno menato a sangue sul rallentamento delle condizioni di gioco, della colla al posto del cemento, delle vittorie dei baseliner dovuta essenzialmente al rallentamento generale del gioco.

L’analisi statistica che abbiamo condotto non è del tutto esaustiva ma dà un’idea su come più o meno si è evoluta la velocità del gioco che non comporta necessariamente una velocizzazione o rallentamento delle superfici di gioco nei 4 tornei più importanti del circuito.

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Prendendo in esame il Torneo di Wimbledon notiamo come dal 1995 in poi il numero di break sia diminuito in maniera costante fino ad arrivare al suo picco minimo nel 2014. I numeri di per sé dicono poco: 0.215 break a game nel 1995, 0.15 nel 2014, ma quello che è importante è il calo che si è avuto. Inutile nascondere che si saremmo aspettati un dato opposto visto che dal 2001 la superficie a detta di molti è stata rallentata. Il dato va controcorrente, questo che cosa significa: che le superfici sono più veloci oggi o che il gioco si è velocizzato a prescindere dal manto erboso permettendo ai big server di avere maggiori garanzie di successo al servizio? Bella domanda, difficile rispondere subito, per cui andiamo avanti con l’analisi.

Wimbledon è il bene. Il Roland Garros è il male. Chiaro. La terra battuta è sempre stata vista come diametralmente opposta all’erba ed è la superficie che ha subito meno variazioni nel corso della storia per diversi motivi, uno tra tutti è la poco malleabilità della stessa, l’unico accorgimento che si può utilizzare in un campo con il mattone tritato è quello di mettere meno terra o più terra in base alle esigenze, o annaffiarla o meno.

Notiamo come dal 1991 fino al 2005 c’è stato un certo equilibrio tra le varie edizioni, soprattutto a partire dal 1993. Come è lecito aspettarsi sulla terra battuta ci sono più break che in qualunque altra superficie. Però dal 2005 in poi si ha una brusca virata verso il basso. Incredibile è il differenziale 0.293 del 20050.247 del 2006. Un abbassamento vertiginoso dei break che consegue ad un aumento vertiginoso delle velocità. Cosa succede del 2005? Bhè, non è difficile arrivarci: vince Nadal. Dalla nascita dell’era Rafa a Parigi il trend si è mantenuto sul valore del 2005 con un picco verso il basso nel 2009 proprio quando è lo spagnolo, dominatore e mai sconfitto fino a quel momento, a perdere prematuramente nel quarto turno.

Dopo tutta questa serie di bombette torniamo ad un certezza che viene confermata: sul cemento ci sono più break che sull’erba e meno della terra battuta. Almeno in questo siamo salvi. Gli 2 Slam giocati sul cemento, Australian Open e US Open hanno delle curve molto diverse ed è difficile estrapolare una regola generale. Il più pazzerello è l’Happy Slam che ha picchi verso il basso o verso l’alto imprevedibili. Il trend generale dal 1991 ad oggi è in discesa, questo nessuno lo può negare, ma già nel 2000 ci sono valori (0.197) simili a quelli di oggi (0.184) per avere dei picchi di break/game totali distanti e incorrelati tra loro come quello del 2006 e 2012 (forse in questo anno hanno pesato tanto la finale Nadal-Djokovic e le semifinali soprattutto quella tra Djokovic e Murray, partita epica tra l’altro).

Meno pazzo, ma sempre poco costante è l’andamento della curva degli US Open. Notoriamente più veloce degli Australian Open, quella di New York sembra essere la superficie più vicina a Wimbledon anche se molto distante. Come per lo Slam Down Under il trend break/game giocati è al ribasso e altrettanto nel 2001 c’è un picco verso il basso (per gli AO era nel 2000). Picco che è simile alle condizioni avute nel 2014. Notare come dal 2008 in poi ci sia un sali-scendi continuo dovuto all’andamento delle partite più che alle condizioni e alla superficie stessa. (Anche se va detto che nel 2011 i giocatori dissero che a New York avessero cambiato la quantità di sabbia presente nella pittura).

Il grafico degli ace

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Analizzando il grafico degli ace/game totali si nota un andamento crescente in tutti gli Slam e più o meno costante dal 1991 ad oggi. L’andamento delle rispettive curve Slam per Slam sono specchiate rispetto a quelle dei break/game totali rispetto ad un asse immaginario. Questo era facile da aspettarsi perché se in un edizione ci sono meno break quasi sicuramente gli ace non possono che essere superiori. La correlazione non è così immediata, ma c’è e questo avvalla la tesi che è alla base di questo articolo e che mette d’accordo tutti: le condizioni di gioco sono diventate più veloci, ma non necessariamente le superfici, attenzione.

Il maggiore incremento di ace per game si è avuto a Wimbledon. Si è passati dallo 0.407 di ace del 1991 a game fino allo 0.688 del 2010. Non ci sorprende questo dato. Tutti hanno in mente la sfida irreale tra Isner e Mahut che ha prodotto da sola 215 ace, 112 di Isner e 103 di Mahut. La curva di Wimbledon, tolto questo caso limite ed eccezionale, riprende il suo naturale percorso per raggiungere il picco del 2014, da lì in poi piccola flessione fino all’edizione dell’anno scorso. Piccolo trend che però per essere confermato dovrà essere corroborato da almeno altre 2-3 edizioni.

Gli Australian Open e gli US Open viaggiano su un livello più o meno simile. Non è difficile immaginare lo Slam americano “più veloce” di quello australiano, ma la differenza non è così sostanziale, anzi in alcuni casi lo Slam Down Under ha fatto registrare più ace per game rispetto a quello newyorkese. Il dato maggiore che differenzia i 2 Slam giocati sul cemento è l’incremento nel lungo periodo. Gli Australian Open partono da 0.295 ace/game totali per arrivare nel 2015 quasi ai livelli di Wimbledon per poi superarli nel 2016, di pochissimo ma li ha superati. Qui non c’è da scandalizzarsi, molto spesso qui sono i giocatori che vincono a fare la differenza e non la superficie in sé.

Nonostante il Roland Garros abbia con gli anni mantenuto la stessa superficie fa anch’esso registrare un incremento degli ace per game. Minimo nel 1991 a 0.241 e massimo nel 2009 a 0.420. Il differenziale è basso rispetto agli altri Slam, dato prevedibile, ma che testimonia ancora una volta che anche sulla superficie più lenta le condizioni di gioco sono diventate più veloci e anche i big server qui possono trovare qualche soddisfazione.

Ritorniamo alla domanda dell’articolo: sono le superfici ad essere veloci o è aumentata la velocità del gioco a causa dei nuovi strumenti usati? Il buon senso ci fa rispondere che le 2 affermazioni siano vere, ma qualcuno non ammetterà che le superfici siano più veloci. Ricordiamo che a Wimbledon hanno vinto Nadal, Djokovic e Murray….

(Ha collaborato NoMercy)