ATPEditorialeUltimi articoli

ATP Rotterdam, Buenos Aires, Memphis: Il tulipano Jo, Dolgomolotov e il riff di Harrison

atp-rotterdam-buenos-aires-memphis-2017

Si è appena chiusa una settimana piena di tennis con 3 tornei, con tante partite ma le indicazioni che ci ha lasciato sono ben poche. I top player erano tutti a casa. Chi a fare snowboard con una coppa, chi a gufare la sua squadra del cuore, chi a capire cosa fare del futuro…del suo secondo genito. Oltre ai soliti assenti noti, chiamati un po’ semplicisticamente, Fab 4, si sono aggiunti anche i numeri 3 e 4 della classe. Stan Wawrinka ha disertato il torneo di Rotterdam che ancora una volta deve registrare delle defezioni importanti. Il direttore del torneo olandese, Richard Krajicek, deve ancora fare i conti con il suo karma per avere demolito Sampras a Wimbledon (1996) nel suo prime in un quarto di finale storico. 8.9/10 nella scala Soderling. Così dopo la defezione di Federer dell’anno scorso dovuta all’operazione al ginocchio ha dovuto sorbirsi quella di Nadal, per stanchezza, e quella come detto di Stan. Il 500 così è diventato un 450 da scontare. Non è bello avere come 1a testa di serie Marin Cilic. Per carità, sempre vincitore Slam è, per chi l’avesse dimenticato, ma non agita le folle come Rafacito o peggio Rogé. Ma The Show Must Go on, e nonostante i numeri impietosi si è giocato lo stesso un torneo di livello, un torneo di grande tradizione che giocandosi indoor non ha il problema della pioggia come a Doha, torneo della WTA fortemente asteriscato giocato questa settimana. Gli spettatori sono tanti, e non essendo un combined le partite sono poche e in pratica si usa solo il centrale, tranne in rare occasioni il 2° campo dove si disputano le partite di doppio. Gli organizzatori parlano di 100.000 presenze complessive. Un ottimi risultato in termini economici.

L’assenza di top player ci permette di attenzionare chi sta dietro, magari dando uno sguardo a chi si affaccia per la prima volta nel tennis che conta. E’ il caso di Stefanos Tsitsipas, tennista monomane greco. Il suo cognome non è certo facile da pronunciare e soprattutto è difficile da leggere per chi è astigmatico, per questo motivo da qui in avanti sarà necessario usare un diminuitivo. Non è facile. Andrew Murray si fa chiamare Andy, Stanislas Wawrinka si fa chiamare Stan è Stefanos come lo chiamiamo? La “Tsi” greca si potrebbe abbreviare in “Zi“, ed ecco, signori e signori, Zizzipas, o semplicemente Zizzi. La wildcard data all’ellenico non è stata sprecata. Da tempo si parla di lui perché è monomane, una razza in via d’estinzione, e soprattutto perché è amante e praticante del bel giuoco. Per certi versi ricorda Federer (anche se qui l’asterisco sarebbe d’obbligo), un Federer più bello. Però nonostante Roger sia maturato relativamente tardi –  1° Slam a 21 anni e mezzo – già Zizzi è indietro rispetto allo svizzero. Sono nati entrambi ad agosto (cui si aggiunge anche Laver, tanto per parlare dei migliori della astoria, con la “a”) così è semplice fare un parallelo con le età. A 19 anni, ossia nel 2000, Federer disputava la sua prima finale del circuito ATP, sul sintetico indoor di Marsiglia, invece Stefanos esordisce nel main draw del circuito ATP. Ma ormai si sa che lo sviluppo dei tennisti è ritardato nel tempo e l’ingresso nel tennis che conta è posticipato rispetto agli standard degli anni ’90 e primi anni 2000, per cui non c’è da stupirsi di questi campioni, o presunti tali, che si affacciano tardi sul tennis che conta. Ottima è stata la partita contro Jo Tsonga, vincitore del torneo. Zizzi ha dato subito mostra del suo tennis spumeggiante anche se acerbo. I passanti sono stati numerosi, ma sono frutto anche del coraggio di avanzare a rete per chiudere il punto. Il motto “Tsonga è finito” stava per riecheggiare nella websfera quando Zizzi nel 1° set si è trovato avanti 3-0 in un amen, ma l’esperienza del francese ha prevalso. Il nome di Stefanos non lo dimenticheremo, e speriamo che come tanti altri non si perda per strada. Il tennis ha bisogno di nuovi campioni.

Il primo tennista attenzionato non può che essere il vincitore. Tsonga ha dichiarato che questi potrebbero essere gli ultimi anni della sua carriera. Finito? No. Forse dire che si sta per chiudere porta fortuna –  Federer docet – per cui meglio dirlo senza però porre dei limiti. “Potrebbe essere“, che grande precisione spazio-temporale. Della partita con Zizzi ne abbiamo parlato, del 2° turno conto Muller non ne vogliamo parlare. Cosa c’è da dire? Gilles il suo titolo quest’anno l’ha vinto e una volta per tutte si è tolto l’aura di sfigato che lo ha accompagnato per tanti e tanti anni di carriera. Il vero big match per il vincitore è stato quello con Marin Cilic. 2 tennisti che possiamo collocare sullo stesso livello per quanto riguarda la carriera, ma per Marino pesa molto, ma molto lo US Open del 2014. Jo ha fatto finale agli Australian Open 2008, ma allora era solo un ragazzino così come il rivale che lo ha battuto. Il francese è rimasto al palo mentre l’altro ha vinto qualcosina in più. Un altro giocatore sullo stesso livello è Tomas Berdych incontrato in semifinale. Si sa che Berdych non è un fulmine di guerra, ma ancora non è definitivamente defunto tanto da pensare al ritiro. Da questa semifinale non può non nascere il dibattito bloggistico su chi sia davanti. A livello individuale hanno un palmarés molto simile, con una finale Slam per entrambi, un Masters 1000 per Berdych ma 2 per Tsonga. “Però Berdych ha vinto 2 insalatiere” e qui si chiude il dibattito.

La finale con Goffin è stata molto asettica per quanto il punteggio sembra dire il contrario. C’era poca speranza di vedere bel tennis e così è stato. Goffin finalmente è entrato in top 10 dopo varie peripezie e circostanze malevole che gli aveva sbarrato la strada per questo traguardo platonico, ma che è comunque è sempre un punto in più da aggiungere al curriculum. Nel primo set c’è stata un po’ di battaglia anche se è Goffino che è andato per primo avanti (4-1 per la precisione) e poi ha chiuso sul 6-4. Il titolo sembrava ormai di marca belga finché c’è stata partita, ossia fino al 4-4 del 2° set. Da lì in poi Frodo è letteralmente uscito dal campo e per Jo è bastato innestare una marca appena superiore per sbancare Rotterdam. Incredibile il crollo del neo top 10 Goffin che nel 3° set è scomparso. Inspiegabile.

Dicevamo degli “altri tennisti”. Ma chi sono? Coric? Stentiamo un velo pietoso. E’ stato un giovane di buone speranze, e se hai 20 anni e siamo costretti a usare il passato non è una bella faccenda, no, no. Bene la vittoria con Khack, ma il russo è messo anche peggio del croato erede di Djokovic (?) per cui tra 2 finiti vince sempre quello che lo è di meno (3a legge del tennis). E’ spettato a Cilic il compito non tanto difficile di estromettere Borna dal torneo. Inutile è anche stare a parlare di Berdych. Ha fatto fuori Copil (chi?), Gasquet (un altro in crisi mistica da tanto tempo) e Klizan. Martin, dice l’albo d’oro, era il defending champion, ma dopo quella vittoria dell’anno scorso che cosa ha fatto? Buio totale. Non inganni la vittoria ad Amburgo che era sì un ATP 500, ma si è giocato in contemporanea con altri 25 eventi e la Coppa Davis, se aggiungiamo anche le Olimpiadi ecco che l’ex prestigioso torneo su terra tedesco perde di valore (provate a calcolare il rating e ve ne accorgerete). Nel mezzo ben, e dico, ben, 10 sconfitte consecutive (considerando anche quella al Challenger di Praga). Martin è stato protagonista in negativo anche di un semi-tank quando ha deliberatamente lasciato andare il 2° set contro Verdasco prendendo un bagel. Non è il punteggio ad essere pazzerello: 4-6, 6-0, 6-1 è Klizan ad esserlo. Ancora male Pouille. Siamo ad inizio stagione e ci sarà modo di rifarsi, ma fino ad oggi ha collezionato solo magre figure.

Molto calda era la parte bassa del tabellone. Si è partito subito con il botto con la sfida dei fratelli Zverev contro Dimitrov, Piscia, e Thiem contro il più piccolo della cucciolata. Entrambe le partite sono state emozionanti. Alla fine hanno prevalso “i più forti” o meglio quelli piazzati meglio in classifica. L’upset ci poteva stare soprattutto per Sasha che sul cemento indoor non è certo da meno che Domenico che è molto più adatto alla terra battuta (si fa per dire). Alex ha vinto un titolo la settimana precedente a Montepellier ed era difficile se non impossibile vederlo trionfare in Olanda, un 250 al mese basta e avanza. Il problema semmai è un altro. E’ mai possibile cambiare opinione su un tennista ogni volta che vince e poi ogni volta che perde? Zverev perde contro Nadal agli AO: generazione bruciata, pippa, mai cominciato. Vince un 250: futuro numero 1, 10 Slam in saccoccia….il tennis non funziona così. In passato i grandi, ma quelli seri, hanno perso tanti tornei facili, ma poi hanno dimostrato di essere campioni quando contava. Inutile affrettare quindi giudizi così faciloni. Diamo tempo al tempo.

Greg Dimitrov era l’uomo caldo di questo momento con 2 titoli vinti da inizio anno e una semifinale epica agli Australian Open. Per lui si è rivelato più difficile del previsto eliminare Mischa, più facile è stato farlo contro giustiziere di Nole a Melbourne, Istomin, ma contro Goffin non c’è stato nulla da fare. Partita molto schizofrenica quella con il belga. Tutti i pronostici erano a favore del bulgaro. Non sono stati rispettati e così David si è preso la rivincita dei quarti di finale del 1° Slam dell’anno. Partita a senso unico quella.

L’abbiamo nominato tante volte e non può non meritare un paragrafo a parte David Goffin. Per certi versi questo è stato il suo torneo. Facili per lui i primi 2 turni contro Kuznetsov e la wildcard Haase. Grande prestazione contro Dimitrov, ma è contro Pierugo che ha mostra il suo tennis migliore, o forse era proprio il francese fatto apposta per essere impallinato. Sorpresissima dell’evento, Pierre-Hugues Herbert, è riuscito a dimostrare che con il serve&volley si può….arrivare in semifinale in un 500. Anche per lui i primi 2 turni sono stati agevoli (Feliciano non è certo un nome che scotta come una volta). Ma il suo capolavoro l’ha fatto con Thiem spazzolato per bene e ancora una volta. Domenico torna a casa con le pive nel sacco e ancora una volta ci sono dubbi sulla sua programmazione. I nuovi “campioni” non sembrano avere trovato una certa costanza di rendimento, oppure siamo stati abituati troppo bene dai vari Federer, Nadal e Djokovic. Tertium non datur.

Ancora una volta la Nex Gen lascia andare ai vecchi un titolo, questa volta di medio calibro, e fa pensare ai veterani del circuito che magari prolungare la carriera di qualche anno rispetto alla media naturale non è un sacrilegio.

Buenos Aires

Nella capitale argentina mancava il migliore. L’anno scorso era arrivato in semifinale perdendo da Thiem sprecando match point, quest’anno ha preferito rimane a casa. Iscrizione a Rotterdam e forfait tattico. Ci sta. Nel 2016 era uscito al 1° turno in Australia, quest’anno è arrivato in finale. Prospettiva completamente cambiata e programma che si regola si conseguenza. Avanti così. Stranamente, molto stranamente, Nishikori ha preferito lasciare il suo feudo del Tennesse, vincitore nelle ultime 4 edizioni della chitarra elettrica, per andare a giocare sulla terra battuta argentina. Non si capisce perché. A Memphis avrebbe potuto vincere a mani basse. L’anno scorso c’era un tabellone pessimo, quest’anno ancora peggio. Quindi, come direbbe il Mou: ¿Pourque? Qui non è facile vincere. Lo dimostra la storia, lo dimostra la superficie che non perdona nessuno. Ma comunque. Dietro a Nishi…il vuoto assoluto. Se Pablo (Cuevas) è tds numero 2 e Ferrer 3, allora vuol dire che siamo nella dimensione dei 250, distante qualche anno luce dagli Masters 1000 e infinito dagli Slam. Kei doveva essere il protagonista e lo è stato, ma in negativo, la scena gli è stata tolta da Dolgopolov, talento mai sbocciato per tanti motivi non ultimo la sindrome di Gilbert che non gli permette di esprimersi come vorrebbe. Ottimo il percorso per l’ucraino che è riuscito a vincere il titolo senza perdere un set e battendo le teste di serie numero 2, Cuevas, numero 4, Carreno Busta e la numero 1 Nishikori. Un bel record. Alex torna al successo dopo Washington 2012. La speranza è quella di vederlo ancora in alto, ma chissà, forse questo potrebbe essere solo un fuoco di paglia. Speriamo di no.

In finale sono arrivati Nishikori e Dolgopolov, ma il vero protagonista è stato Charlie Berlocq. L’idolo di casa ha deliziato il pubblico con un tennis a tratti spettacolare scatenando la torcida argentina che non disdegna neanche il tennis (ricordiamo che senza dubbio la festa più grande per la vittoria di un torneo di tennis è stata quella di Vilas a New York nel 1977 quando centinaia di tifosi invasero la terra verde di Forest Hills. Indimenticabile). Ed è proprio sul campo dedicato al Poeta della Pampa che abbiamo potuto vedere un grande Berlocq. Primo turno facile per lui contro il qualificato Kovalik. Già nel 2° si presentava il pericoloso e specialista della superficie David Ferrer. Che dire? Finito. David ormai è lontanissimo dagli standard che gli competono che lo hanno portato ad essere numero 3 del mondo, finalista al Roland Garros e addirittura al Masters nel 2007. Per lui sembra vicino il ritiro. Mah, ogni volta che qualcuno scrive qualcosa del genere per farlo apposta arriva la smentita clamorosa. Chissà se il valenciano avrà ancora qualche colpo da sparare. Ma se non vince i 250 scarsi sulla terra battuta, dove lo si potrà vedere con la coppa in mano? Il mistero rimane. Dopo David, Carlos ha dato spettacolo anche contro Monteiro, questa volta in rimonta e l’argentino medio si gasa, si gasa a tal punto che ci crede. Nishi si sa che non è un fulmine di guerra e il 1° set perso faceva ben sperare, ma alla fine è prevalso il più forte che si dimostra infallibile nel set decisivo.

Macello nella parte bassa impregnata di terraioli più o meno doc. 4 argentini, 2 spagnoli, 2 italiani. Tutti gli elementi necessari per una barzelletta. Tra tutti è uscito proprio Dolgo che terraiolo di certo non è. Seconda piazza per Carreno Busta che batte Ramos ma perde contro Alex. Tutti a casa i vari Pella, Mayer, Elias, Lorenzi, Giannessi e connessi.

La semifinale tra Busta e Dolgo ha visto prevalere nettamente il secondo che è stato preciso e deciso anche nell’atto conclusivo. Ha fatto sfogare Nishikori annullando tante palle break per poi piazzare i 2 minibreak necessari per vincere il tiebreak e poi piazzare il break dirimente nel secondo. Napoleone.

Memphis

Scusate, ma vogliamo parlare del torneo di Memphis? Ma per favore. Cosa c’è da dire? La tds numero 1 è stato Ivo Karlovic. Era da Jackson 1977 che la tds 1 di un torneo ATP non avesse un’età superiore a quella di Karlovic oggi. IVONE lo è stato all’età di 37.96 anni, a Jackson Ken Rosewall era tds 1 all’età di 42.42 anni. Nonostante tutti i record negativi il torneo ha fatto registrare il primo titolo di Ryan Harrison troppo presto apostrofato come futuro campione ma che poi si è perso. Certamente questo titolo non è il massimo, ma vale come tutti gli altri 250. Così come lo è stato Kitzbuhel per Lorenzi nel 2016 lo è per l’americano. In finale c’era un georgiano, Basilashvili, strapazzato in 2 facili set. Se proprio vogliamo approfondire il torneo non ci resta che segnare gli insuccessi degli giovani. Male Fritz, finalista da wildcard l’anno scorso. Male anche Tiafoe che ha perso contro Smyczek. Tomic ormai si è perso e la sconfitta contro King non fa più notizia. Male anche Opelka, ancora con una wildcard. Vero è che l’altezza media dei campioni si è alzata, ma Reilly è un perticone di 211 cm. Meglio puntare all’NBA. Harrison si porta la chitarra elettrica a casa, e non poteva essere altrimenti. Dei Fab 4 George è sempre stato sempre il più sottovalutato forse anche più di Ringo.